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#1 2021-03-04 16:11:40

pravdania
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rabbia contro la macchina, di william s. lind (2003)

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Russell Kirk, forse l’unico conservatore nel movimento conservatore americano del dopoguerra, proibiva l’importazione di televisori nell’avita magione di Piety Hill. Un giorno, in sua assenza, la consorte con le figlie portarono in casa, di soppiatto, una televisione. Il dottor Kirk la scoprì ed esse, a loro volta, scoprirono lui in cima alla torre, intento a scaraventare giù l’apparecchio.

La televisione, come tutte le realtà virtuali, ci giunge dall’inferno. (Il sottoscritto, con la sua esperienza di presentatore televisivo, sa quanto arduo sia usare il mezzo a fin di bene; il risultato è sempre un pessimo programma.) I conservatori di un tempo conoscevano d’istinto le possiblità infernali delle macchine, e guardavano con sospetto ogni tecnologia innovativa.

L’entusiasmo dei conservatori americani verso l’arrivo di ogni nuova tecnologia ci dà la misura, forse, di quanto il conservatorismo sia avvizzito. Essi amano i telefoni cellulari, rovina di quei pochi luoghi pubblici rimasti. Si entusiasmano per l’ingegneria genetica, che un giorno ci darà armi pronte a farci ripiombare nella Peste Nera. Ma più di tutto abbracciano i computer, e ogni progenie di questi nonostante il fatto che ovunque, e tutto intorno a noi, i nostri fratelli sudditi celesti usano queste macchine per creare realtà fittizie, da abitare quasi a tempo pieno. (Per fortuna, necessitano ancora di cibarsi.)

Il primo principio cristiano, così come il primo principio della civiltà occidentale, è che c’è e può esserci solo una realtà. Se ammettiamo realtà multiple, perdiamo sia Gerusalemme che Atene. Se può esistere più di una realtà, può esistere più di un Dio; e cadono così Gerusalemme e il monoteismo. Se c’è più di una realtà, ciò che è logico in una non significa nulla nelle altre, nelle quali potrebbe non sussistere una logica; così cadono Atene e la ragione stessa. Dove le realtà proliferano, tutte le cose sono, in effetti, relative.

L’inferno ha sempre odiato la realtà, perché nel mondo reale Cristo è Re. Per il vecchio Berlicche, il fatto che la filosofia fosse un’arma inefficace contro la realtà è stato un problema per millenni. Anche il più sofisticato strumento filosofico degli inferi, l’ideologia, cadeva sempre preda della realtà, e spesso non durava che un paio di generazioni. Sua Bassezza sapeva di aver bisogno di un’arma più potente e durevole. Gli servivano immagini convincenti – ma fasulle – del vero: le realtà virtuali.

Le realtà virtuali, ne siamo certi, sono sempre esistite. Ne facevano parte la Domus Aurea di Nerone così come la vita da pastorella di Maria Antonietta. I quartier generali delle armate furono spesso meravigliosi generatori di realtà virtuali. (Al giorno d’oggi li inondiamo di computer, peggiorando il problema.) Ma tutti questi esempi richiesero grandi poteri e vaste risorse per venire al mondo, ed erano anche impossibili da mantenere.
Per una vittoria durevole sulla realtà, cioè quasi una vittoria su Dio, all’inferno serviva un meccanismo per creare realtà virtuali poderose e avvincenti, diffonderle selvaggiamente e permettere alla gente di viverci dentro più tempo possibile, col loro consenso. Fu così che le officine di Satana sfornarono, con grande maestria, il monitor e il tubo catodico.

È palese che molta gente viva oggi un’esistenza dove il monitor, in tutte le sue molte varianti, è la realtà dominante. (O la realtà e basta, se dovessimo citare Derrida.) Dal buongiorno alla buonanotte, i televisori accesi ci strillano addosso per tutta la casa. I bambini passano un numero incalcolabile di ore coi loro videogiochi; le giornate di sole non contano più nulla. Il balocco degli adulti è Internet, usata più che altro per la pornografia. Tutte ci offrono realtà alternative, in varietà sempre crescenti, sempre migliori nell’abilità di sembrare vere. Dapprima invitanti, poi soddisfacenti, infine incontrollabili. “Gnam!”, fanno le fauci infernali.

Se molti conservatori lo fossero ancora, troverebbero tutto ciò un bel guaio. Alcuni sono sconcertati per il contenuto di molte realtà virtuali, che fa impallidire le arene di Roma. Pochi, però, sembrano capire che ci stiamo giocando lo stesso Principio di Realtà, vecchio nemico di Marcuse. Guardare la Messa in TV è lo stesso che andarci? No. Sapere che a Ouagadougou è una bella giornata, è bello quanto una giornata al parco? Ancora, no. Guardare persone su uno schermo vale quanto conoscerne di vere? No di certo. Ma per un numero sempre maggiore di vite, il virtuale sta prendendo il posto del vero.

E l’immagine sta rimpiazzando la Parola, il Logos. L’Occidente ha lottato per tremila anni per far vincere la Parola sull’immagine. La guerra del Logos contro l’immagine è forse il tema basilare del Vecchio Testamento. Migliaia di cristiani hanno dato la vita in quello scontro. Adesso, grazie al monitor, la Storia sta correndo all’indietro, perché sugli schermi le immagini sono assai più potenti rispetto alle parole. E non c’è da sorprendersi che, fuori e dentro la Chiesa, il paganesimo stia rialzando la testa.

Se i conservatori sono ciechi verso i pericoli della cosa in sé, ovvero la sostituzione del vero con il falso, ci si potrebbe come minimo aspettare che stessero in allerta verso la manipolazione, a cui ogni realtà virtuale – per sua natura –  è soggetta. Oggi, in America, molti di loro sono condizionati, deliberatamente e sistematicamente, a servire l’ideologia del marxismo culturale, anche noto come “politicamente corretto”. Ecco, quindi, che ci viene servita un’infinità di programmi TV e videogiochi dove gli uomini sono fragili e le donne forti (e infatti li picchiano), i borseggiatori sono bianchi e i dottori neri, e gli unici maschi bianchi con un aspetto normale sono omosessuali.

Grazie alle realtà virtuali, l’industria dell’intrattenimento è divenuta la forza maggiore della cultura americana, ed appartiene perlopiù ai marxisti della cultura. Mediante essa, questo marxismo culturale compie il suo dovere, sarebbe a dire il condizionamento psicologico. Ben presto, in ogni esistenza dominata dalle realtà virtuali, chiunque osi pensare che forse la civiltà occidentale è davvero superiore si guarderà allo specchio e vedrà “un altro Hitler”. Com’è possibile che il Mondo Nuovo di Huxley non preoccupi più i conservatori?

A quanto abbiamo detto finora, molti conservatori drogati di tecnologia ribattono che computer e similari sono prodigiose fonti d’informazione. Cosa indubbiamente vera, ma che fa sorgere un’ulteriore domanda, assai conservatrice: l’informazione in sé, è davvero così prodigiosa?

Tengo spesso conferenze ai giovani laureati, di solito su argomenti militari. Li vedo esperti nelle tecnologie dell’informazione, che hanno bevuto col latte materno. Il problema, tagliando corto, è che la maggior parte di loro non sa pensare. E non sa pensare a causa delle informazioni, non per mancanza di esse.
Un mio amico amish, David Klein, me l’ha ben spiegato la scorsa estate, mentre discutevamo sotto gli alberi della sua fattoria di Wayne County in Ohio. Mi ha detto che usare le tecnologie dell’informazione, è come cercare di costruire un’automobile pescando alla cieca da una discarica. Ecco come funzionano queste giovani menti. Sono incapaci di afferrare un qualsiasi ordine o contesto di pensieri. Hanno incontrato solo pezzi e bocconi di questo e di quello, sputati a casaccio da qualche distributore automatico universale. Sarebbe troppo semplice affermare che per loro le cose non hanno senso, piuttosto manca loro il concetto stesso di “avere un senso”. Come ammoniva Ortega, sono divenuti barbari tecnologizzati.

Ci tengo a ribadire che i conservatori di un tempo avrebbero compreso questa deriva. Quando la vita diventa un processo infinito d’interruzioni, l’atto di pensare, come l’abbiamo sempre inteso, diventa impossibile. Il pensiero occidentale è lineare, ma l’”informazione” è caotica. Perdipiù, pensare richiede di stare da soli coi propri pensieri, una facoltà preclusa e invisa ai drogati di tecnologia.

Per la generazione dell’informazione, il caos intellettivo è la norma, tanto quanto la loro condizione di schiavi di zolle di plastica beige. Devo confessare che l’anno scorso, sconfitto dalla baldanza del mio dipartimento, ho installato un fax nella mia casa estiva in Ohio. Quella macchina si è dimostrata più esigente di un gatto, rifiutandosi di operare finché non ubbidivo ad ogni suo desiderio – ed erano molti, credetemi –  di bip e codici. Trascurate un gatto, e prenderà lo stesso i topi. Finalmente, quest’estate ho capito chi fra noi due doveva comandare, e ho ristabilito l’ordine naturale in maniera kirkiana, sarebbe a dire con una mazza da due chili. Il sostituto umano del fax è un corriere della FedEx che svolge lo stesso lavoro con molte meno fisime.

Ma simili ribellioni sono ben al di là di quanto i profeti del computer e dei suoi figli possano comprendere. Pensare di vivere senza le loro macchine, ovvero la nostra (ottima) esistenza fino a qualche decennio fa, è per loro impossibile. Non può esistere il proverbiale bastone fra le ruote, per chi addiziona solo a macchina. Se in una bella giornata vi recate in banca e chiedete alla giovane cassiera di fare qualcosa che “non sia nel computer”, vi guarderà con grandi occhi bovini.

I conservatori sapevano che informazione non significa conoscenza, e che conoscenza non significa comprensione. (T.S. Eliot aveva qualcosa da dire in proposito.) Passare dall’una all’altra richiede di pensare, e i computer, che producano informazioni o realtà virtuali, sono nemici del pensiero. Solo da scollegati si può pensare.


è tutta colpa mia

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